Alì corre e gioca.

Campo profughi di Amboko (Ciad) – Mahamat Ali, 13 anni, viene dalla Repubblica Centrafricana, paese in guerra protagonista di una delle mille “emergenze dimenticate” del pianeta.
Vive nel campo profughi di Amboko, nel Ciad meridionale, assieme ad altri 28.000 rifugiati. Ha raggiunto questo paese tre anni fa, quando i suoi genitori furono trovati morti nelle violenze seguite a un colpo di stato.

Quando l’agenzia ONU per i rifugiati (UNHCR) lo ha trovato, Ali aveva eletto a suo rifugio una macchia di alberi. L’UNHCR lo ha fatto arrivare al campo di Amboko, dove ha ritrovato suo zio Abdulaye, anch’egli fuggito dal paese allo scatenarsi della violenza. «Siamo molto preoccupati» ci dice lo zio di Ali.

«La nostra una situazione molto dura, soprattutto se si pensa al modo in cui abbiamo dovuto scappare dalle nostre case. L’esplosione del conflitto è stata talmente immediata che ci ha separato dai nostri figli senza lasciarci la possibilità di andarli a cercare. Noi avevamo ciò che ci serviva: una casa, del bestiame, ma abbiamo dovuto abbandonare tutto quanto.»

Un’evasione dal dolore

Ali ha passato la sua infanzia a guardare i suoi cugini più grandi giocare a calcio e ad ammirare le star del football in televisione, sognando di far parte di una di quelle squadre, un giorno.
Ma la morte dei suoi genitori ha stravolto la sua vita e lo ha precipitato nella tristezza, privandolo di un futuro all’altezza dei suoi sogni.
In questo affollato campo profughi, in cui gli adolescenti non hanno molto da fare, lo zio di Ali è felice che suo nipote abbia riscoperto il calcio.
«Lo sport è un rifugio per Ali» spiega, «e gli permette di dimenticare per un poco i traumi dolorosi che ha subito.»
«All’inizio era molto dura per me» ci racconta Ali. «Fortunatamente, però, ho ritrovato mio zio qui al campo. Da allora, lui si occupa di me e oggi, a tre anni di distanza, comincio a sentirmi meglio.»
L’allenatore di Ali, Waladingar Bdieubeni, anch’egli rifugiato, lo ha spinto a giocare a calcio nel campo. Ali – dice il suo allenatore – è diventato un attaccante straordinario, ma lo sport gli trasmette anche altre lezioni di vita importanti.
«Quando gioca, Ali non pensa a niente» spiega Bdieubeni. «Questo gli ridà forza. Quando gioca, i suoi problemi si dissolvono e dorme meglio la notte.»

Lezioni di vita

Romain, il suo migliore amico, ha vissuto un’esperienza analoga a quella di Ali. I suoi genitori sono stati uccisi durante gli attacchi di tre anni fa. I due ragazzini si sono conosciuti al campo ed è nata una vera amicizia.
«Il calcio mi ha aiutato molto, sia sul piano affettivo che spirituale» ci dice Romain. «Quando sono solo e non sto giocando, penso molto ai miei genitori e questo mi rende molto triste. Ma quando sto sul campo di calcio, dimentico tutte le mie disgrazie e mi sento meglio
I due ragazzi adorano Ronaldinho. Ma sanno che per diventare una star è necessaria anche una buona istruzione.
«Il calcio mi aiuta a lavorare meglio a scuola» conclude Ali. «E poi, quel che mi ha davvero motivato, è il fair-play, anch’essa una forma di educazione. Quando si gioca a calcio con gli amici, si impara anche a fare squadra.»

di Jonathan Schienberg

Guarda il video di Alì e altri video (from Unicef Television)

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