Football Club: anche quest’anno ce l’abbiamo fatta

Cominciamo dalla fine: ebbene si, ce l’abbiamo fatta! Di nuovo! A vincere? No, ad esserci!

Ogni inizio di stagione è così. Siamo a fine agosto. Seduti intorno al tavolo del nostro piccolo ufficio, in quello spazio, il campo XXV aprile, che vorremmo un giorno vedere vivo, attivo, aperto.

Facciamo un po’ mente locale. Quanti sono i volontari? L’allenatore conferma? Chi ci da una mano? Ricominciamo a valutare le innumerevoli lavatrici che abbiamo all’orizzonte, l’inventario degli scarpini, la muta della prima squadra che mostra ormai i sui anni, i problemi con la pompa dell’acqua che emana rumori sinistri.

C’è tanto da fare, parecchia fatica… quest’anno mi sa che non ce la facciamo.

Con il telefono alla mano chiamiamo prima le vecchie leve. Persone con le quali abbiamo condiviso un anno, due anni, e più, allenamento su allenamento, partita su partita.

Il primo numero, inesistente. Il secondo, il messaggio meccanico dell’operatore che ti chiede di riprovare più tardi. Il terzo, una timida risposta, con l’accento afro/francese che caratterizza molti dei ragazzi che frequentano i nostri spazi. “Come stai, che fai?” “Allora, vieni a giocare con noi un altro anno?”. “No?”.

E’ uno dei pochi fortunati, si fa per dire, che ha trovato un improbabile lavoro da qualche parte in Italia. Ma sicuramente troppo lontano da noi. “Ok, gli rispondiamo,  se torni a Roma noi siamo qui! Fatti vivo!”.

E così scorriamo l’elenco. Sette, otto, nove… nessun altro? Così pochi?

Quest’anno mi sa che non ce la facciamo. Ce lo ripetiamo da cinque anni, ormai…

E il primo appuntamento della stagione, è drammatico. Inizio degli allenamenti, ore 18.00. Guardiamo l’orologio. Alle 18.30 ci sono ancora 3 ragazzi. Ore 19.00… siamo a 5…

L’allenatore ci guarda dubbioso. Quest’anno mi sa che non ce la facciamo…

E poi arriva il secondo di allenamento, e allora da cinque si arriva a dieci atleti. Si riesce anche a mettere su una partitella 5 contro 5. E poi alle 19.00 altri tre, poi un altro. Visi nuovi. Ci guardano timidi, impacciati. E trovano un sorriso, un po’ di indicazioni, una muta pulita, un paio di scarpini…

Quest’anno mi sa che forse, forse…

Manca una settimana alla prima partita, il campo è finalmente pieno di ragazzi. L’allenatore si sgola, i ragazzi corrono, tirano calci ad una palla. Dal solito piccolo e umile ufficio, sentiamo gli schiamazzi. Risa, rumori di piedi erranti che questa volta corrono per gioco, il fischietto che ogni tanto detta il tempo, finalmente, dopo tanto, il tempo dello stare insieme.

Quest’anno mi sa che forse, forse… ma si, dai, ce la possiamo fare!

Siamo immersi nei documenti, fotografie, fotocopie di permessi di soggiorno, cedolini, qualunque cosa adatta a dimostrare che hanno il diritto di restare in Italia, almeno un altro po’, un’altra chance.

Stiamo compilando i cartellini. Pezzetti di cartoncino bianchi, semplici. Ben diversi da quelli di tutti gli altri giocatori di terza categoria. Quelli che, quando vai in federazione, ti chiedono: “ma perché fate questi cartellini?” – “Ditemelo voi, ci viene da dire”…

Si, perché siamo una squadra diversa. Una delle poche che già sa la propria posizione in classifica con una settimana di anticipo dall’inizio del campionato. Ultimi a 0 punti. Una delle poche che è in grado di tradurre una frase in 10, 15 lingue diverse senza l’uso di un dizionario.

Quest’anno ce la dobbiamo fare…

Oggi, domenica 13 ottobre 2013.

La prima di campionato. Si gioca a Montelibretti, ore 11.00. Appuntamento al nostro campo alle 8.30. Chissà se ci saranno tutti. Ci raccomandiamo! Puntuali! 8.30 ora italiana, non africana. Scherziamo.

Sono cinque anni che è così, ma uno ci spera sempre… alle 8.30 al XXV aprile sono in 3. Gli altri stanno arrivando. Speriamo che Roma non barrichi la strada dei ritardatari. Ai ritmi dei mezzi pubblici della domenica mattina, arrivano da tutte le parti. Roma Nord, Roma Sud, Castelnuovo di porto, Boccea. Nell’ufficio l’allenatore fa mente locale. Vorrebbe una formazione, ma… è arrivato Bayogo? No!? E chi metto in difesa!? Chiama Fabrice, il capitano, vedi a che punto è. Mamadou, il portiere, non viene. Stamattina lavora. Contiamo su Liviu, che si improvviserà tra i pali. Eccone un altro, siamo a 9.

Non proprio una squadra, ma la partita almeno non la perdiamo a tavolino. Poi 10, 11, 12. Mohamed vive a Viterbo. Viene da solo. Siamo in 13. Contiamo le auto a disposizione. Bastano, riusciamo addirittura ad avere una tifosa in tribuna che ha trovato posto. Non è sempre così.

Alle 9.30 si parte.

Sarà il gatto nero che ci ha attraversato la strada, sarà che l’unico giorno dell’anno in cui a Montelibretti organizzano una fiera coincide con la data e l’ora della nostra partita e chiudono mezzo paese… A dieci minuti dal fischio dell’arbitro giriamo ancora per le campagne.

Altri probabilmente a questo punto si sarebbero quasi disperati. Non so perché, ma noi, invece, avevamo  un sorriso beffardo. Quel ghigno indirizzato alla sorte avversa quando viene sconfitta. Si, perché non è la prima volta che le partite hanno un prologo così difficile, anzi, è sempre così. E lo prendiamo come un segnale.

Ore 11.30, fischio di inizio!

E anche quest’anno, ce l’abbiamo fatta!

 

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