Il ruggito degli RFC Lions contro razzismo ed intolleranza

Da Caserta, passando per le periferie napoletane, fino alle finali nazionali di Cesenatico per portare avanti un importante progetto d’integrazione. Gli RFC Lions, da sei anni, si battono affinché il calcio possa diventare un momento d’incontro ed inclusione. 

Buba ha quasi quarant’anni. Come ogni sera, da quando è arrivato in Italia, sta in piedi accanto allo stesso semaforo. Aspetta che qualche automobilista accetti di farsi pulire il vetro in cambio di pochi spiccioli. Di certo, non è il lavoro che sognava di trovare quando è partito dal Senegal. Sempre meglio che spacciare o andare a rubare, deve aver pensato. Tutte cose che, evidentemente, non gli appartengono. Cose che non ha mai fatto e che, anche volendo, non saprebbe proprio fare. Meglio starsene lì allora, solo come un cane, con un spazzolone bagnato di sapone tra le mani.

Marco è un ragazzo di Caserta, uno come tanti. Con la passione per il calcio e per la musica Ska. Quella sera, come capita spesso, sta tornando da una partitella di calcetto con gli amici. Lungo la strada, che dal campetto porta a casa sua, si ferma ad un semaforo. In fila, davanti a lui, c’è una Smart. Affianco, sul ciglio della strada, un ragazzo di colore sulla quarantina con in mano una spazzola per pulire il parabrezza.  Attende, impassibile, che qualcuno si fermi per racimolare gli ultimi spiccioli della giornata. Di colpo, l’uomo sulla Smart accelera e sembra volerlo investire.

Da quella sera, Marco e Buba sono diventati grandi amici. Per mesi hanno organizzato partite di calcio coinvolgendo la numerosa comunità senegalese che vive nel casertano. Fino a quando non hanno deciso di dar vita ad una squadra mista, italo-senegalese appunto. Gli RFC Lions, che con il tempo sono diventati un progetto enorme. Pronto a sfidare la diffidenza e i pregiudizi, per fare del calcio qualcosa d’inclusivo. Inizia così questa storia: dall’indignazione di chi, stanco di assistere ad episodi d’intolleranza, ha scelto la strada dell’integrazione attraverso ciò conosce meglio: il calcio.

Per realizzare il loro obiettivo, Marco e i suoi amici, hanno pensato di attingere all’immenso panorama di squadre popolari presenti in tutto il territorio campano. Afronapoli, Stella Rossa o Quartograd, sono solo alcune delle realtà che, da anni in agli RFC Lions, si battono come Leoni per portare un barlume di speranza nel grigiore della periferia napoletana. Organizzano tornei di street soccer ed eventi musicali a ritmo di Ska. Diffondono valori come l’antirazzismo e l’antisessismo. (Stra)convinti della possibilità di cambiare le logiche monetarie che si celano dietro a questo sport per renderlo, finalmente, accessibile a tutti. Senza ostacoli, tanto economici quanto burocratici.

We want to play è stata, infatti, la prima campagna di sensibilizzazione a cui gli RFC Lions hanno dato vita. Volevano cambiare le regole del gioco. Gridare al mondo intero: che nessuno è illegale per giocare al calcio. Che lo sport non ha niente a che vedere con i permessi di soggiorno o con i tesseramenti della FIGC. La loro passione e il loro impegno sociale gli hanno permesso, in soli sei anni, di formare ben due squadre di calcio. Una amatoriale che, giusto per onor di cronaca, quest’anno si è laureata campione, e l’altra che da 2 anni milita nel campionata di terza categoria.

Hanno capito prima degli altri, che era necessario rimanere umani. Combattere quel razzismo latente che, come un virus, iniziava a serpeggiare tra le vie e le strade di Caserta nonostante l’attivismo che la città esprime. Quando è nato il loro progetto, gli SPRAR ancora non esistevano. Di sbarchi e di ”emergenza migranti se ne parlava poco. Di ragazzi in fuga da guerre e povertà, però, ce n’erano già molti. Così, anche grazie all’ARCI, hanno pensato di includerli un percorso sportivo che potesse alleviare le sofferenze patite. Per riportare un po’ di gioia nelle loro vite e, magari, dimenticare anche solo per qualche ora gli orrori a cui hanno assistito.

Con il passare del tempo, però, sempre più migranti e richiedenti asilo hanno preso parte al progetto. Mentre si spargeva la voce, infatti, i ragazzi pieni d’entusiasmo andava in massa ad allenarsi. Così, senza volerlo, gli RFC Lions sono diventati un punto fermo. Un oasi nel deserto, come si dice, per centinaia di loro. Marco e suoi amici non ha mai smesso di combattere al loro fianco. Al prezzo di enormi sacrifici ogni settimana, di sera, raccattavano borse e borsoni e con il furgone hanno iniziato a girare la provincia in lungo e in largo.

Con ogni mezzo possibile e immaginabile, hanno cercato finanziamenti. Autotassazione, t-shirt e concerti fin dall’inizio sono serviti a porre le basi per quello che, oggi, è diventato l’emblema di un progetto d’integrazione che cerca di creare momenti d’incontro, coinvolgendo anche i bambini delle periferie e i ragazzi delle scuole superiori.

Scopro poi, grazie a Marco Proto, che oltre a pub e autoricambi che nel tempo si sono aggiunti alla lista dei sostenitori economici del progetto, ad appoggiare gli RFC Lions c’è anche una fondazione davvero speciale. La Fondazione Mario Diana qui a Caserta, infatti, è per tutti la Fondazione. Quella con la F maiuscola. Nata per rendere onore ad un eroico imprenditore, che si opposto alla Camorra ed ha pogato con la vita la scelta di non chinare la testa di fronte a chi vorrebbe tenere in scacco questa bellissima città.

Sono passati quasi sei anni da quando Marco e Buba si sono incontrati. Da quel giorno, per entrambi sono cambiate molte cose. Buba adesso vive in Francia, ma non perde occasione per chiedere ragguagli sulla squadra. Quel stesso gruppo che, come ci tiene a sottolineare Marco, è diventata una famiglia. Le differenze sono diventate virtù e le divergenze di un tempo si sono trasformati in momenti di crescita. Tutto questo grazie alla dedizione di chi ha scelto l’integrazione alla diffidenza. L’umanità all’odio e al razzismo.

(Mattia Bagnato)

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