4-2 (forse) Partita amichevole Liberi Nantes-Ardita

(di Alberto Bile – Festival della Letteratura di Viaggio)

Durante la partita, sulla panchina della Liberi Nantes, alcuni giocatori non sanno il risultato: “Forse 4 a 2 per noi”, se la ridono. Ai tifosi dell’Ardita sembra importare ancora meno: “’Amopareggiatoooo!” urla incredulo uno di loro, e torna a cantare. Uno dei cori mette in chiaro le cose: se l’Ardita perde non ce ne frega niente.

Gli spalti del campo XXV Aprile, a Pietralata, Roma est, sono uno spettacolo poco comune. Da un lato, una macchia giallo nera che non smette un secondo di cantare, con tanto di birre e fumogeni. Attenzione a quanto succede in campo: zero. Giocatori, tifosi, tifose sono tesserati dell’Ardita, società ad azionariato popolare, che riesce ad andare avanti con cene sociali ed eventi, come quest’amichevole. Affianco a loro, Africa. Ragazzi che osservano assorti la partita, commentando, tra il serio e il faceto, le giocate delle due squadre; ai gol, sventolano le bandiere con la tartaruga della Liberi Nantes. La squadra è composta da ragazzi che vivono in Italia, anche se precariamente, con lo status di rifugiati. In passato ci sono stati anche asiatici, dal Tibet in particolare, ma oggi sono tutti africani.

Alberto Urbinati racconta che l’idea è nata durante un’edizione dei Mondiali Antirazzisti, a Bologna. Con altri soci, ha contattato i centri d’accoglienza per reclutare i giocatori. Ha dovuto scegliere fra centinaia di ragazzi entusiasti. Ai giocatori, oltre a scarpette e divise da gioco, vengono offerti una scuola d’italiano, giornate di trekking e di rugby, piccoli lavoretti e laboratori. Il campo XXV Aprile, dopo anni di abbandono, è grazie a loro, e all’Ardita, risorto a nuova vita.

Soprattutto, si tratta di dare un senso ai chilometri che hanno percorso, motivo della presenza qui del Festival della Letteratura di Viaggio. Il calcio per sentirsi un po’ più a casa. Una squadra di viaggiatori da medaglia d’oro. Sia Alberto Urbinati che Valerio Sposi, dell’Ardita, hanno ben chiaro i prossimi passi: raccogliere fondi e energie per poter costituire una scuola calcio per bambini, dai prezzi accessibili e dai valori non strettamente legati alla competizione. Bambini figli della tradizione operaia del quartiere e bambini figli di chissà quante e quali tradizioni al di là del Mediterraneo. Vederli crescere insieme sarebbe il miglior risultato.

Mentre fa buio, sugli spalti la conversazione passa dalle giocate in campo alla Nigeria del ’96, che regalò l’oro olimpico a un intero continente. Di fronte al ricordo delle giocate di Okocha, Amunike, Oliseh, la passione per il calcio unisce tutti, e sembra, per un secondo, un brevissimo secondo, cancellare le storie di questi ragazzi. Uno di loro, Festus, racconta della sorella e della madre in Nigeria, dei mesi di carcere in Libia, dell’approdo a Lampedusa e dei centri di accoglienza. Dopo tutto questo travaglio, quanto riposo meriterebbe? Invece ha un visto fino a gennaio e deve trovare lavoro dove lavoro non c’è. Non vuole carità, vuole lavorare!, spiega energicamente. Eppure, qui in Italia si sente “comfortable”, a suo agio, e il suo sorriso lo certifica a pieno. Intanto, in campo, i contrasti accesi alzano nubi di polvere, immancabili gioie per gli appassionati di calcio “minore”. Quello che in realtà mette in gioco i valori “maggiori”. L’allenatore della Liberi Nantes dà indicazioni tattiche in italiano e poi in inglese, per i nuovi arrivati. I giocatori in panchina discutono della posizione dell’ala destra e del terzino sinistro come se al mondo non ci fosse cosa più importante, e in effetti adesso non c’è. Il portierone, Mamadou dalla Guinea Conakry, fa quattro chiacchiere con i bambini del quartiere che lo disturbano da dietro la rete: “Ma quanto sei alto? Tifi Roma o Lazio?”. Propone loro, contento, di fargli due tiri a fine partita. Intanto i suoi compagni di squadra fanno confusione in difesa. Lui alza lavoce: “Non teniamo palla qui! Resta lì! Devi passarla!”. Dopo ogni indicazione passa qualche secondo perchè Mamadou aggiunga “per favore”, con gentilezza. Dove avrà imparato questo modo di stare al mondo: a casa o durante il viaggio? Benvenuto, in ogni caso, Mamadou. Portieri e persone così fanno comodo a ogni squadra e a ogni paese.

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