Che ci fa la Liberi Nantes in un’aula universitaria?

Qualche giorno fa è accaduta una bella cosa.

Alle 12.00 ci attendevano presso la Facoltà di Medicina e Psicologia dell’Università di Roma “La Sapienza” per una lezione di pedagogia: noi di Liberi Nantes eravamo gli ospiti speciali.

Mentre raggiungevamo l’ex caserma Sani, attraversando il mercato dell’Esquilino, tra i banchi di frutta e verdura dei bengalesi e le tende dei commercianti indiani sentivamo la punta del sole invernale inseguirci: una speciale frenesia muoveva i nostri passi svelti, eravamo consapevolmente felici.

Sì perché a noi pare fantastico che Liberi Nantes entri in un’aula universitaria. Lo sapete, abitualmente noi viviamo i campi sportivi. Linee del campo di calcio, spogliatoi, spalti: usiamo il calcio e i luoghi dove si pratica lo sport che amiamo per dire a chi non ci conosce, a chi non ci vede mai: “Ehi ci sono anche io. Ci sono esattamente come te”. E la cosa funziona, voi non ci crederete, ma funziona! Per questo continuiamo a correre e a dar calci a un pallone da 8 anni: perché lo schema funziona e sono sempre di più le realtà sociali che abbiamo impattato con la nostra presenza.

Ma nelle università, ecco, ancora non c’eravamo mai entrati. Ma le cose belle accadono all’improvviso: così quando Veronica De Laurentis, una ragazza volontaria dei Mondiali antirazzisti, ci ha chiesto se poteva studiare Liberi Nantes come oggetto di ricerca per la sua tesi di laurea in Scienze dell’educazione e della formazione, a noi il cuore si è proprio fatto grande e ci siamo detti che qualcosa di importante stava per accadere.
Accadeva infatti che una studentessa, per parlare dei migranti e dell’integrazione sociale, scegliesse di avvicinare ai libri le persone, con le loro storie e le loro vite, che poi è quello che si dovrebbe sempre fare quando si vuole conoscere una realtà. Veronica lo fa, viene al Campo XXV Aprile, conosce i nostri ragazzi, interroga i volontari, studia e approfondisce la materia sui libri, e scrive la sua tesi, titolata Divisi dai colori, uniti nei valori. L’integrazione sociale nelle attività sportive.

Scrive la sua tesi e alla sua relatrice e al suo correlatore, la tesi piace davvero.
Piace così tanto che Guido Benvenuto, professore di pedagogia sociale e correlatore di tesi, decide che vuole incontrarci e ci propone qualcosa di più: che tutta la sua classe ci incontri, ché l’esperienza formativa che aveva fatto Veronica potessero farla anche gli altri suoi studenti perché Benvenuti sa bene che per educare il prossimo bisogna innanzitutto conoscerlo.
E quindi ci invita all’Università, dentro le aule dove le giovani menti pensano e immaginano. Cosa? Mondi migliori certamente. E noi proprio a loro vogliamo parlare, che saranno gli educatori del domani e che si troveranno in aula un gran numero di studenti di seconda generazione, che provengono da famiglie miste, che hanno identità culturali multiple; a loro che saranno i comunicatori del domani, che non si limiteranno a parlare dei migranti solo quando noi occidentali siamo vittime di un attacco terroristico o quando l’ennesimo imbarcazione si perde nel mare o quando un fatto di cronaca compiuto da uno “straniero” occupa tutte le prime pagine dei giornali. Educare a una narrazione diversa, imparare a conoscere le storie di chi arriva nel nostro Paese, informarsi sui percorsi burocratici che caratterizzano la permanenza dei migranti in territorio ospitante, e ancora, stringere rapporti, avere fiducia nel prossimo, sono le uniche strade che noi conosciamo per considerarci davvero tutti uguali e fratelli.
Quindi grazie! Grazie al Professore Benvenuto che ci ha regalato ore del suo tempo e della sua lezione e che ha creato un luogo di incontro, tra la realtà dei migranti e la realtà dei studenti, con la speranza di costruire nuovi ponti e rapporti; grazie agli studenti, che ci hanno ascoltato con attenzione e partecipazione, si vedeva ve lo assicuriamo, per due ore fitte fitte di parole; grazie a Veronica, che ha dedicato la sua tesi alla nostra associazione, che si è resa perfetta mediatrice tra la realtà sociale e il mondo della ricerca, e lo ha fatto con un entusiasmo a tal punto contagioso da incuriosire i suoi docenti e i suoi amici. Il contagio delle buone pratiche è il miglior modo per far sì che insieme alla nostra di realtà associativa, ne nascano altre e ancora altre, ché sono gli sforzi collettivi a cambiare le cose che non ci piacciono.
E poi grazie anche a te, che se sei arrivato a leggere fin quaggiù vuol dire che sei con noi, che condividi la nostra idea di integrazione, ne siamo certi. Come siamo certi che dal campo sportivo alla strada all’aula universitaria il passo da fare è urgente, e lo si deve fare, come sempre, insieme!

[La punta del sole era ancora lì ad attenderci alla fine della lezione. Una bella giornata non tende a finire]

Martina Volpe

 

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