Nessuno in fuorigioco, un calcio al razzismo e ai pregiudizi

Anche quella di Liberi Nantes tra le sei realtà raccontate nel web-reportage Nessuno In Fuorigioco, nato da un’idea di Guido Montana e Aniello Luciano.

Sei storie vere di integrazione legate al mondo del calcio in cui il grande impegno, individuale e collettivo, dei soggetti interessati contrasta positivamente le difficoltà sociali e i problemi di emarginazione.

Lo racconta per noi Mattia Bagnato:

C’è chi da anni si batte per aiutare i migranti sbarcati in Italia. Usa il calcio come strumento d’integrazione, abbattendo la logica dei muri a pallonate. È il mondo dell’associazionismo raccontato nel web reportage prodotto da Mondofutbol.com

Un giorno una giornalista chiese alla teologa tedesca Dorothee Solle: “Come spiegherebbe la felicità ad un bambino?”. Lei rispose: “Non glielo spiegherei”. “Gli darei un pallone per farlo giocare”. La felicità, quella a cui si riferiva la teologa, puoi vederla nei volti color ebano immortalati nel web reportage Nessuno in fuorigioco. Una gioia di vivere autentica e contagiosa.

Capace di cancellare la sofferenza e le violenza delle guerra, per farti ritornare ragazzino. È tutta qui, si fa per dire, la potenza del calcio. Nascosta, ma non troppo, nelle pozze di un campo di periferia o nell’impegno irriducibile dei volontari della Liberi Nantes, dell’Atletico Brigante o dell’Atletico diritti e chi più ne ha più ne metta. Sono decine, infatti, le squadre nate dalla volontà d’integrazione e solidarietà.

Semplici squadre di calcio, all’apparenza. Progetti sociali enormi, invece, che superano i confini e scavalcano i muri. Come la No borders cup, triangolare benefico organizzato a Pietrelcina dall’Atletico brigante lo scorso 3 gennaio. Un modo per ribadire, se ancora ce ne fosse bisogno, che siamo tutti fratelli su questa terra. Che il crogiolo delle razze è una ricchezza e che il colore della pelle, la religione e la nazionalità sono solo dei dettagli, che non fanno di te un uomo migliore o peggiore.

È il cuore a fare la differenza e questi ragazzi ne hanno uno davvero grande. Così grande, da spalare la neve che ostruisce le strade o il fango dopo l’ennesima alluvione. Poco importano, le barricate alzate per non farli scendere dai pullman o i discorsi razzisti che gli scarichiamo addosso.

“Siamo noi il futuro dell’Italia”, dice Henry, il giovane allenatore burkinabè della Young Italy.

Dopo una traversata estenuante durata mesi, infatti, sono sbarcati in Italia e qui vogliono rimanere. Per integrarsi e dare il loro contributo ad un paese sempre più “vecchio”. Nel viaggio hanno perso amici e parenti, inghiottiti dalla profondità degli abissi. Giocano a calcio per dimenticare, racconta commosso Abdul. Per rimuovere dalla mente le immagini di quei corpi inghiottiti dal mare. Ma è impossibile farlo. Come nei peggiori incubi, infatti, le immagini di quei tragici momenti continuano a tormentarti di notte. Allora, non rimane che imparare a conviverci con quei sogni. Sperando, che chi partirà dopo di te non debba morire nel tentativo di raggiungere la felicità.

Nessuno in fuorigioco è anche, e soprattutto, un racconto di speranza. Di giovani migranti tolti dall’emarginazione e dalle grinfie della criminalità. Ma è anche un escamotage per “ripulire” l’immagine di uno sport troppo spesso ostaggio di violenti e affaristi senza scrupoli, rimportandolo nella dimensione che merita. Quella di ponte tra culture e mondi differenti. Su un campo di calcio siamo tutti uguali, si legge in apertura del web reportage: “Vivere nel mondo di oggi ed essere contro l’uguaglianza per motivi di razza o colore è come vivere in Alaska ed essere contro la neve”.

Così, può accadere che etnie da secoli in lotta si scoprano compagni di squadra, pronti a “combattere” insieme per segnare un goal. È il caso della Lions Caserta, 4 squadre di cui una femminile e una dozzina di nazionalità. Dall’Asia all’Africa passando per l’America Latina.

Il viaggio nel quale queste squadre di calcio si sono imbarcate, però, è molto più lungo di quello che si può immaginare. Abbraccia una miriade di contesti sociali e svariate problematiche. L’Atletico Diritti ne è un esempio inequivocabile. Una polisportiva nata dall’Associazione Progetto Antigone e patrocinata dall’Università di Roma Tre. Da qualche anno è riuscita a coinvolgere studenti, migranti detenuti ed ex detenuti. Un’eccezionale modello di integrazione, secondo Susanna Marietti Presidente della Polisportiva. “Una squadra che si apre a tante esperienze e a tanti vissuti diversi”.

“È la conoscenza che fa superare gli stereotipi, è la conoscenza che fa superare i pregiudizi”, conclude ancora Susanna Marietti. Basta andare a Parma per rendersene conto, a “casa” dell’ASD Scanderberg. Qui il calcio parla Gegë o Toskë, i due dialetti di cui si compone la lingua albanese.

La mente corre veloce a quelle enormi barche strapiene di gente che a metà degli anni ’90 occupavano tutti i telegiornali. Ne hanno fatta molta di strada quelle persone. Con riservatezza, scontrandosi con vergogni luoghi comuni che li volevano nient’altro che ladri o scippatori. Oggi, la comunità albanese sembra essersi perfettamente integrata. Anche grazie all’impegno di chi, come Gigi Arpino capitano della squadra, si è sempre battuto affinché fosse la conoscenza a dettare le regole del gioco.

Il calcio che unisce invece che dividere. Tutto questo, mentre si fa un gran parlare di curve vuote, di tessere del tifoso e di stadi di proprietà. Tempo perso, quando intorno a noi c’è un universo fatto d’impegno sociale, di lotta al razzismo e al pregiudizio. Un mondo quasi sconosciuto, in cui la contrapposizione ‘noi e loro’ sparisce per lasciare il passo all’inclusione. Uomini e donne salpati da terre lontane, in balia di un sistema che non smette di ricordargli che non c’è posto per loro, hanno trovato il loro angolo di paradiso. Un spazio, dove poter ricominciare a sognare un futuro migliore.

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