Venezia, migrante muore alla frontiera. Era un ragazzo, scappava dalla guerra
Venezia – E’ il secondo in pochi giorni. Il corpo riverso sulle angurie del camion in cui si era nascosto. Era probabilmente di etnia kurda irachena, come il ragazzo trovato morto la settimana scorsa dentro un tir proveniente dalla Grecia con altri compagni ormai allo stremo delle forze. Il porto di Venezia, città dell’accoglienza e sede del centro per rifugiati più grande d’Italia, quello di Tessera, si scopre frontiera di morte. Perché si tratta di vite che potrebbero essere salvate. E non per pietismo, ma con una corretta applicazione delle norme nazionali e comunitarie in materia di immigrazione.
Secondo le associazioni che proprio ieri mattina, mentre si spargeva la notizia, avevano promosso un presidio all’imbarcadero di Santa Marta, la zona accessibile al pubblico più vicina al luogo in cui ogni giorno avvengono i respingimenti, la gestione degli ingressi sulle banchine della città lagunare è invece ormai interamente poliziesca e porta a violazioni dei fondamentali diritti umani, come quello di chiedere asilo politico e, se si è minorenni, di essere accolti e non rimandati indietro. Solo uomini in divisa, ormai, a controllare gli ingressi alla frontiera marittima, mentre viene quotidianamente ostacolato il lavoro di chi ha gli strumenti, le competenze e l’incarico di valutare la condizione di ciascun migrante per avviare le eventuali procedure di richiesta di asilo.
Una scena che si è ripetuta anche ieri. Il ragazzo morto viaggiava con un’altra persona, alla quale la polizia portuale ha deciso di consentire la domanda di asilo, mentre almeno altre quattro sono state respinte senza che il Cir (Centro Italiano Rifugiati) potesse avvicinarli e parlare con loro. Una anomalia che si protrae da mesi. Non a caso, il Servizio per i rifugiati e per i diritti alla cittadinanza del Comune di Venezia ha da tempo scelto di non lavorare all’interno del porto. «E pensare – commenta sconsolata la responsabile del Servizio Rosanna Marcato – che nel centro di Chioggia gli immigrati possono studiare, curarsi, e la permanenza di ognuno di loro costa 30 euro al giorno contro i 100 di chi è rinchiuso in un Cpt». I numeri non è dato conoscerli. L’anno scorso i servizi comunali e il Cir sono riusciti a venire in contatto con 400 immigrati, per 65 dei quali sono state avviate le richieste di asilo. Il ragazzo morto qualche giorno fa poteva forse averne diritto. Ma era stato da poco respinto, proprio al porto di Venezia, senza ricevere alcun orientamento circa i propri diritti. Ed era tornato.
Che altro potrebbero fare le centinaia di kurdi, afghani, pakistani che risalgono l’Adriatico dopo aver attraversato conflitti e miserie? Muoiono per il caldo, per gli stenti di un viaggio durissimo, rischioso, disperato. Ma anche perché li ributtiamo a mare e li costringiamo a riprovarci, a escogitare sistemi ancora più pericolosi per cercare di aggirare i controlli. La rotta è sempre la stessa: Medio Oriente, Turchia, Grecia e poi una nave, un tir, un container fino a Venezia. Non hanno scelta. Le stesse organizzazioni internazionali invitano a non far tornare gli immigrati clandestini in Grecia. Dove i malcapitati sono vittime di una criminalità tollerata dallo stato, rapinati dei loro averi, rinchiusi in campi improvvisati, senza servizi, senza assistenza, picchiati. Ai giornalisti accorsi al porto, un minore afgano da poco a Venezia ha raccontato di essere stato bastonato in Grecia e perfino di aver subito, la prima volta che aveva tentato la fuga dal campo, un elettroshock che lo ha costretto per giorni a letto.
Se da un lato la reazione della città di fronte all’accaduto dimostra il grado di allarme per una situazione divenuta intollerabile, dall’altro essa segna forse una svolta nell’attività delle organizzazioni impegnate sul fronte immigrazione. Sono quasi 50, infatti, le associazioni che hanno firmato l’appello per denunciare la situazione nel porto e chiamare a una mobilitazione che vada oltre i due episodi di questi giorni. «Per una storia terribile che viene a sapersi – si legge nel comunicato – centinaia di altre non verranno mai raccontate, e questa tragedia deve servire da occasione per denunciare un sistema di gestione della frontiera marittima che produce strutturalmente simili violazioni». Con una compattezza inedita, questa parte della popolazione che non rinuncia, neanche nell’afa estiva, a esercitare la propria cittadinanza attiva, chiede risposte immediate. Venezia, cosmopolita porta d’Oriente, città plurale e “città dell’asilo”, ha festeggiato anche quest’anno la giornata mondiale del rifugiato, con importanti incontri, dibattiti, concerti. Come può tollerare la sistematica violazione dei diritti umani sulla sua frontiera acquea?
Fernando Marchiori
(fonte: Liberazione del 28/06/2008)