Oggi, tre anni fa

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E’ una foto o almeno le assomiglia.

L’unica che abbiamo di quel giorno, rubata con un cellulare che forse ne ha scattata solo una, solo quella.

Ventotto ragazzi.

Non avevamo ancora comprato gli scarpini, nell’illusione di poter sapere quali numeri potessero servire, nell’idea fragile che si potesse calcolare, pianificare, programmare.

Macché.

Vecchie maglie gialle e verdi della Pescatori Ostia, un regalo.

Calzoncini anni ’80, improbabili e quasi sempre troppo piccoli.

Calzettoni zero.

L’archivio meteo dice che quel giorno era poco nuvoloso, massima 17.2, minima 5.8.

Cominciarono ad arrivare a gruppi, un misto tra spaesati e curiosi.

Loro.

Noi con il timore che montava, che stavano diventando troppi e che non ce l’avremmo mai fatta.

Lo spogliatoio era diventato presto una babele ingestibile.

Loro pensavano di trovare una società di calcio attrezzata, noi speravamo solo che non ne spuntassero altri.

La distribuzione di quell’attrezzatura povera ci mise a disagio, ma quello avevamo.

Lo capisci quando ci stai che chi ha poco o niente ha diritto a di più e a meglio.

Al meglio, solo si potesse.

Non potevamo e distribuimmo quel poco che avevamo raccolto nei giorni precedenti.

Per le scarpe fummo costretti ad arrangiarci, nessuno di noi, di fatto, restò con le proprie, perché c’era chi era arrivato con le infradito e chi con i mocassini di vernice e per giocare non sono il massimo.

Non sappiamo nemmeno come, ma li mettemmo tutti in campo.

Non dico che come averbbe detto Fenoglio “Fu la più selvaggia parata della storia moderna: solamente di divise ce n’era per cento carnevali.”, ma qualcosa di simile si.

Eppure ci fu il riscaldamento, qualche esercizio e la tanto agognata partitella.

Alla fine sembravano contenti, sicuramente noi più di loro.

Era iniziata una storia di cui nessuno poteva immaginare gli sviluppi futuri, ma era cominciata e quello contava.

In tre anni di cose ne sono successe tante, che a metterle insieme nemmeno ci riusciamo più.

Qualcosa ce la scordiamo sempre.

Oggi Liberi Nantes non se la passa bene, paradossalmante per certe cose stiamo peggio di quel giorno.

Ieri c’è stata la quarta partita di campionato, quarta sconfitta, pesante.

Del resto non abbiamo un campo dove far allenare i ragazzi.

O meglio, un campo l’abbiamo, ma inagibile e per rimetterlo a posto non basta infilarsi le mani in tasca, come abbiamo fatto in questi anni, né togliersi le proprie scarpe per darle a uno dei ragazzi.

E allora quattro partite, quattro sconfitte e zero allenamenti.

Non fosse per la tenacia dei ragazzi, che non finiremo mai di ringraziare, che scendono in campo sapendo che lo scontro è impari, e per i soci e gli amici, che malgrado tutto ancora dedicano tempo, passione e risorse a questa storia, di quel primo giorno, ad oggi, sarebbe rimasto ben poco.

In questi tre anni pacche sulle spalle tante, ma aiuti concreti pochi.

Da pochi, che hanno e avarnno sempre la nostra gratitudine , perché senza di loro saremmo finiti prima di nascere.

Loro sanno chi sono, noi lo sappiamo e questo per ora basta a noi e a loro.

Tra amici funziona così.

Il resto è stato il riconoscimento di aver messo in piedi un piccolo miracolo in questa Italia che troppo spesso vive specchiandosi nel deserto delle proprie paure e nelle proprie piccolezze, incapace di proteggere i piccoli germogli che di quando in quando, contro ogni logica vitale, sbocciano dove meno te l’aspetti.

I riconoscimenti fanno gonfiare un po’ il petto, danno forza illusoria, ma sono il più delle volte il segno di una distanza ristabilita tra chi prova a costruire con fatica “buone pratiche” e chi non sa nemmeno più “dare cattivo esempio.”

Perché stare nelle cose della vita, farsene carico, mettere insieme pezzi che insieme in teoria non dovrebbero stare, alle volte taglia il respiro.

Ma l’alternativa è mettersi a distanza e guardare, aspettare e alla bisogna giudicare.

Noi ci abbiamo provato ed è l’unica ragione plausibile per cui ci siamo riusciti.

Continueremo a provarci, perché siamo fatti così, ma sappiamo anche che da un momento all’altro potermmo non farcela più, perché mancano soldi, strutture, sostegni e di finire appesi sulle pale di un mulino proprio non ci interessa.

Continueremo a provarci, anche da soli e forse ci riusciremo.

Non abbiamo altra strada perché da quel 7 novembre di tre anni fa le nostre vite si sono legate a doppio filo con le vite di chi, anche per una sola volta, per un solo allenamento, è venuto al nostro campo.

Perché da quel momento il “noi” e il “loro” è svanito ed è rimasto solo il senso forte e incancellabile di essere diventati parte di un’umanità più vasta, che ha ci ha resi più liberi tutti, più donne, più uomini.

C'è molto di più da scoprire!

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