Di opportunità e talento, sul palco come nella vita: il Progetto MigrArti

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Piena notte. Poche ore prima, una festa sfrenata. Adesso, te ed il tuo letto. E un sonno profondo. Tutto intorno, improvvisamente, inizia a prendere fuoco. Cosa fare? “Camminerei tra le fiamme, anche bruciando i miei stessi piedi, se questo potesse portarmi alla sopravvivenza” mi risponde subito Bakary, ragazzo del Mali che il fuoco – ma era acqua, quella del Mar Mediterraneo – lo ha attraversato davvero per arrivare in Italia nel 2014. E capisco che non stiamo parlando più di uno spettacolo teatrale (la scena delle fiamme è tratta da Il Viaggio di Enea, spettacolo teatrale con la regia di Emanuela Giordano in scena fino a pochi giorni fa al Teatro Argentina), ma di vita. “Venire qui col barcone dalla Libia è un rischio – mi spiega – ma vale la pena correrlo se è la via che può concederti una prospettiva di vita migliore”.

Ho incontrato Bakary, Lamin, Charles e Nasir per parlare con loro di Enea in viaggio, progetto promosso dal Teatro di Roma in partneriato con l’associazione Liberi Nantes e Amref Health Africa-Italia e vincitore del Bando MigrArti 2017 del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (MiBACT).

Si tratta di un esperimento di intervento artistico e culturale in territori dove risulta complesso il rapporto fra popolazione residente e migranti, e si articola in tre fasi:

  • la prima, nei mesi di aprile e maggio, prevede un periodo di formazione laboratoriale con attori professionisti e 17 migranti dell’associazione Liberi Nantes sul tema del viaggio, sotto la supervisione della già citata regista Emanuela Giordano.
  • la seconda, a giugno, composta da 9 giornate di performance e laboratorio aperto su un camion-palcoscenico per le strade dei quartieri di Tor Bella Monaca, Quarticciolo e Pietralata.
  • infine, il 9 luglio, la città arriverà in teatro attraverso una call aperta in cui si inviteranno i cittadini di Roma a salire sul palcoscenico del Teatro Argentina per una performance collettiva con 200 partecipanti in scena.

La prima parola che emerge nella nostra chiacchierata, forte e dirompente, è OPPORTUNITÀ. I migranti – ce lo ripetono i media – sono persone che devono necessariamente ammutolire i propri desideri e le proprie ambizioni, persone che hanno solo bisogni e necessità, condannate a vivere – pardon, sopravvivere – in maniera ‘meccanica’ attorno a un centro d’accoglienza e in continua attesa. Ma non è così…

“Ci sono tanti ragazzi che nel loro Paese hanno studiato e sanno fare tante cose. Bisognerebbe creare sempre più opportunità per loro. Per noi” mi dice Bakary, che in Mali era (è) un ingegnere agronomo. “Ho chiesto di poter curare un piccolo terreno vicino al centro d’accoglienza, per farci un orto. Non mi hanno permesso di farlo. Ma fare qualcosa è meglio che girare per la città senza aver nulla da fare”.

“L’attività di laboratorio teatrale mi piace proprio perché mi tiene ‘occupato’, non avendo un lavoro” gli fa eco Charles, ragazzo nigeriano che qui divide la sua vita tra la scuola e la Chiesa (è Testimone di Geova). Ed il teatro.

“Facciamo qualcosa insieme per rendere questo Paese eccezionale” aggiunge Lamin, arrivato in Italia dal Gambia nel 2013. “Noi chiediamo aiuto, ma vogliamo anche che altre persone possano venire da noi e domandarci aiuto. Noi vogliamo dimostrare di poter essere utili a questo Paese. Viviamo qua, se il Paese va male stiamo male anche noi. Ognuno dovrebbe fare qualcosa, anche piccola, affinché il mondo fosse migliore”. Lamin ha studiato per fare l’idraulico e avrebbe voluto farlo anche qua, in Italia. Ha portato tanti curriculum, ha chiesto persino di poter lavorare gratis solo per imparare meglio il mestiere. Ma invano. Ora lavora come receptionist di notte e fa altri lavori saltuari, studia e sogna un giorno di diventare uno chef e aprire un proprio ristorante (“Ma non subito, prima voglio imparare bene”).

La seconda parola – che in questo caso fa rima con opportunità – è TALENTO. “Attraverso l’attività del laboratorio teatrale – prosegue Lamin – abbiamo finalmente l’opportunità di poter dimostrare di essere anche noi persone di talento, disposte ad offrirlo agli altri. Durante le giornate di laboratorio confrontiamo le nostre idee e le nostre esperienze di vita, disegniamo, suoniamo, cantiamo, balliamo. Ognuno di noi fa qualcosa, seguendo le proprie passioni, e gli altri lo seguono. Ogni giorno che vado lì, imparo una cosa nuova. E stare a contatto con dei professionisti, persone d’esperienza che insegnano la loro competenza agli altri, ti dà la spinta giusta per andare avanti ed esprimere te stesso”.

È Bakary a chiarire ulteriormente il concetto: “Prima io parlavo raramente, avevo un carattere molto chiuso. Un giorno vorrei essere come loro, come i professionisti”.

Interviene Nasir, che capisce l’italiano anche se lo parla poco (sta prendendo la terza media e ha fatto un corso da saldatore), ma che, (anche) grazie al teatro, sta facendo grandi progressi con la lingua, e non solo: “Quest’attività mi ha permesso di conoscere tante persone, ora non sono più timido come prima”. E che non sia più timido come prima, lo dimostra il fatto che proprio lui ha chiesto di poter fare durante lo spettacolo una piccola esibizione con i pattini (la sua passione) e di poter recitare una parte nella sua lingua d’origine.

“Qualunque persona voglia fare qualcosa o imporsi nella vita non può essere timida. Io non sono mai stato timido, in Nigeria questa parola non esiste nel vocabolario” replica sorridendo, ma in maniera perentoria, Charles.

Diverse idee, punti di vista, culture, passioni e competenze: un valore troppo spesso dimenticato, una risorsa troppo spesso osteggiata. “Attendo con molta gioia il momento della fase due, quella in cui raggiungeremo col camion-palcoscenico i tre quartieri di Roma Tor Bella Monaca, Quarticciolo e Pietralata” mi dice Bakary. “In quel momento, potremo dimostrare agli italiani che noi non siamo i ‘cattivi’, ma esseri umani come tutti gli altri, con buoni e cattivi come ogni gruppo sociale”. Buoni, cattivi, cuochi, idraulici, ingegneri agronomi, rapper, saldatori, pattinatori, timidi e non; tutti insieme a condividere le proprie competenze e le proprie passioni. Sul palco, come nella vita.

(Stefano D’Alessio)

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The deep night. A few hours earlier, a wild party. Now, you and your bed. And a deep sleep. All of a sudden, everything around you starts to catch fire. What to do? “I would walk through the flames, burning my feet, if this could ensure my survival”, Bakary tells me.

Bakary is a lad from Mali who crossed the fire – but it was water, that of the Mediterranean – to get to Italy in 2014. I realise that we are no longer talking of a play in the theatre (the scene of the flames comes from Enea’s Journey, a drama directed by Emanuela Giordano, which was performed at the Argentina Theatre until a few days ago), but of real life. “Coming here on that boat from Libya is a risk – he explains – but one worth taking if it’s a route that can offer you the chance of a better life”.

I met Bakary, Lamin, Charles, and Nasir to talk to them about Enea’s Journey, a project promoted by the Theatre of Rome, in partnership with the Liberi Nantes association and Amref Health Africa-Italy. It was the winner of the Ministry of Culture and Tourism’s (MiBACT) MigrArti 2017 competition.

This is an artistic and cultural experiment in areas where the relationship between migrants and the local resident population is complicated. It takes place across three phases:

  • the first, in April and May, involves a period of workshop training on the theme of travel with professional actors and 17 migrants from the Liberi Nantes association, under the supervision of the aforementioned director Emanuela Giordano.
  • the second, in June, was made up of nine days of performance and open workshop on a lorry-stage passing through the streets the streets of the Tor Bella MonacaQuarticciolo and Pietralata districts.
  • finally, on June 9, the city will join the theatre via an open call to the citizens of Rome to get up on the stage at the Argentina Theatre for a collective performance with 200 participants on stage.

The first word which emerges from our chat, loud and clear, is OPPORTUNITY. Migrants, the media constantly remind us, are people who have to keep quiet about their desires and ambitions; people with only needs and necessities, condemned to live – sorry, survive – in a ‘mechanical’ way, waiting continually in some reception centre. But it is not like that…

“There are loads of people who in their own country have studied and can do lots of things. Opportunities need to be created for them, for us”, Bakary tells me. In Mali he was (is) an agricultural engineer. “I asked if I could cultivate a small piece of land near the reception centre, to make a vegetable garden. They denied me permission. But doing something has to be better than wandering aimlessly around the city”.

“I really like the activity of the theatre workshop because, not having a job, it keeps me busy,”, Charles echoes. Charles is a Nigerian lad who divides his time between school and church (he’s a Jehovah’s Witness). And the theatre.

“Let’s do something together to make this country exceptional”, adds Lamin, who arrived in Italy from The Gambia in 2013. “We ask for help, but we also want other people to be able to come to us and ask for help. We want to show that we can be useful to this country. We live here, and if the country isn’t going well neither are we. Everybody should do something, even something small, to make the world a better place”.

Lamin studied to be a plumber ad would like to have done that in Italy too. He brought his CV, and was even prepared to work for nothing to learn his trade better. But all in vain. Now he is working nights as a receptionist, does other temporary jobs and also studies. His dream is to one day become a chef and have his own restaurant. (“Not right now, though. First I have to learn really well”).

The second word – which in this case rhymes with opportunity – is TALENT. “Through the activity of the theatre workshop – Lamin continues – we finally have the opportunity to demonstrate that we are also people of talent, and willing to offer that to others. During the workshop days we compare ideas and experiences, we draw, we play music, we sing, we dance. Each one of us does something, following their passions, and the others join in. Every day that I go there, I learn something new. And to be in contact with professionals, people of experience who can pass on their skills to others, gives you just the push you need to go ahead and express yourself”.

It is Bakary who adds further clarity to the concept. “I used to speak rarely; I had a very closed nature. One day I would like to be like them, like the professionals”.

Nasir intervenes. He understands Italian, even if he speaks it little (he is taking the third year in middle school and has done a course to be a welder). Thanks (also) to the theatre, he is making progress with the language and not only: “This activity has allowed me to know lots of people; I’m no longer shy like I used to be”. And as if to prove that he is no longer shy, he asked to put on a little performance with small cymbals (his passion) during the show and to recite a part in his own language.

“Anyone who wants to do something and get on in life can’t be timid. I have never been timid. In Nigeria, this word does not exist in the dictionary”, Charles replies with a smile, but in an assertive manner.

Different ideas, points of view, cultures and abilities: a value too often forgotten, a resource too often unexploited. “I’m looking forward with joy to the second phase, when we pass through the Roman neighbourhoods of Tor Bella Monaca, Quarticciolo and Pietralata”, Bakary tells me. “In that moment, we will be able to demonstrate to Italians that we are not the ‘baddies’, but human beings like everyone else, with the good and the bad you find in every social group”. Good, bad, cooks, agricultural engineers, rappers, welders, skaters, shy and otherwise; all together to share their abilities and passions. On the stage, as in life.

(Stefano D’Alessio)[:]

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